Un manuale relazionale e bottom-up!
È stata questa la prima espressione che mi è risuonata nella testa mentre leggevo l’ultimo lavoro di Genovino Ferri, Il tempo nel corpo.
Un saggio didattico, che nasce dalla relazione tra e con terapeuti psicocorporei accompagnati da Ferri a sperimentare in prima persona le attivazioni corporee proprie della sua sistematizzazione, fondata sull’Analisi del Carattere e sull’Analisi del Carattere della Relazione.
Bottom-up, perché è proprio da questo scambio relazionale-esperienziale nel setting gruppo di formazione che emerge il “Kit chirurgico psicocorporeo”; così egli un po’ ironicamente definisce e presenta venti attivazioni sui livelli corporei, in parte già individuati da W. Reich e successivamente sistematizzati da O. Rakness e F. Navarro. Per meglio dire, “E’ l’insieme delle attivazioni (acting) sui livelli corporei relazionali per un’appropriatezza analitica sui pattern di tratto delle fasi evolutive e terapeutica sulle loro eventuali disarmonie e/o oltre-soglia clinico: un percorso dalle afferenze periferiche a quelle centrali, in quella mente di tratto dove abita la domanda implicita o esplicita che la persona ci pone” (pag. 2 – corsivi dall’originale). Dunque l’acting come attivazione incarnata terapeutica, parafrasando la simulazione incarnata di V. Gallese, agita appropriatamente nella cornice relazionale del setting psicoterapeutico.
Un setting in 3D “ovvero con la capacità di leggere sia l’orizzontale-relazionale, sia il verticale –relazionale, entrambi tra loro connessi e interdipendenti” (pag.129).
Il fil-rouge che accompagna tutto il percorso è quella linea marcata dai segni incisi lungo le fasi evolutive: intrauterina, oro-labiale, muscolare e fasi genito-oculari, con i rispettivi delicati momenti di passaggio. Lungo questa “freccia del tempo neghentropica”, “Gli imprinting significativi della nostra vita, dal tempo intrauterino all’oggi, afferiscono dai portali della periferia corporea al sistema nervoso centrale e circolarmente rientrano sulla periferia, nella co-costruzione della relazione Sé Altro da Sé: il corpo, nel tempo, li segna e li specchia nello spazio della soggettività, dove possono essere ordinati nella loro giustapposizione” (pag. IX).
Coerentemente con la freccia del tempo neghentropica, Ferri ha ridistribuito l’emergere dei livelli corporei, tradizionalmente top-down dal primo livello (oculare) al settimo (pelvico), evidenziandone la dominanza relazionale progressiva: Iniziando con il livello intrauterino, il sesto (addome – prima grande bocca), per passare al secondo (bocca), poi al quarto (torace), al terzo (collo), al quinto(diaframma) al settimo(pelvi-gambe) ed infine al primo (occhi).
Appropriatezza, relazione terapeutica, nelle sue componenti transferali e controtransferali, e neghentropia, che conduce ad un nuovo ordine a maggiore complessità, sono le parole chiave per un intervento psicoterapeutico ad personam, in quel momento della sua storia e del suo contesto relazionale.
L’acting proposto in questa chiave diviene un intervento chirurgico mirato e puntuale, capace di ritrovare nel qui e ora i vissuti e le esperienze del li e allora, offrendo una nuova soluzione.
Diviene così possibile anche un abbreviamento dei tempi del trattamento e un minor rischio di “effetti collaterali”, a volte piuttosto dannosi in una metodologia non ben sistematizzata.
Personalmente, la lettura questo libro è stato come un acting che mi ha riportato ad un viaggio nella mia personale freccia del tempo neghentropica, facendo fermare l’ascensore ad un preciso piano del mio palazzo della personalità.
Era la metà degli anni ottanta del secolo scorso ed io ero uno psicoterapeuta psicosomatista.
Nella scuola di psicosomatica in cui mi ero formato ero considerato il reichiano del gruppo, per il mio interessamento all’unità funzionale dei processi psicocorporei.
Avevo anche già da tempo intrapreso un percorso personale di orientamento analitico esistenziale.
Fu così che, grazie anche alla mia terapeuta del tempo, incontrai la SEOr, dove frequentai i seminari, per poi decidere di iscrivermi alla scuola di formazione.
Fu lì che incontrai Genovino Ferri ed ebbi anche la fortuna di incontrare Federico Navarro, Francesco Dragotto, con cui ho condiviso un lungo percorso personale, Roberto Sassone e altri importanti terapeuti, di cui, tra tutti, voglio ricordare Giovanna Reggio D’Aci, con la quale ebbi il colloquio d’ammissione alla scuola: imprinting fondamentale.
Quattro mirabili anni di formazione che hanno costituito la base del mio essere psicoterapeuta oggi; quattro anni condivisi con una ventina di compagni di avventura, alcuni dei quali ritrovo sempre con piacere ancor oggi in diverse occasioni scientifico-culturali.
Leggere questo lavoro di Ferri è stato un acting che mi ha fatto scendere proprio a quel piano, situato in anni che hanno radicalmente cambiato la mia vita, non solo professionalmente ma anche affettivamente e socialmente.
Un acting non ancora codificato da Ferri, ma decisamente potente; ve lo raccomando vivamente.
Dott.Fabio Carbonari
Psicologo Psicoterapeuta Roma