Amare ai tempi del Covid

Sera sul viale Karl Johan, Edvard Munch, 1892

È nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama.

Fëdor Michajlovič Dostoevskij


Che cosa sta cambiando e continua a cambiare dentro e fuori di noi?

Viviamo un momento particolare che ricorderemo negli anni che verranno.

Siamo passati da un isolamento totale durante il lockdown, ad una riapertura graduale per poi passare a una successiva ripresa della  vita.

C’è stata l’estate: Il caldo e il vivere all’aria aperta ha rassicurato e in parte fatto dimenticare i mesi dell’isolamento. Ora nuovamente i numeri risalgono, le precauzioni messe da parte in estate diventano nuovamente importanti. La mascherina  riappare nelle borse e nelle tasche, e  non viene più dimenticata.

Le scuole stanno per riaprire, qualcuna già lo ha fatto; i tanti timori lasciati sullo sfondo in estate, ritornano in primo piano.

Viviamo tante contraddizioni: Dalle situazioni di precauzioni  anche eccessive verso il virus  a situazioni di assembramenti e di poche precauzioni.

Sui mezzi pubblici, nelle ore di punta, non vengono rispettate le  distanze di sicurezza, mentre negli uffici pubblici per entrare si fanno lunghe file o ci si deve  prenotare giorni prima.

Nelle strade e nelle piazze ci sono assembramenti ovunque,  gruppi di ragazzi che si abbracciano e si baciano, altri che si spingono, sfidano o altro ancora ma che comunque si toccano e poi ancora; per entrare nei negozi attendiamo fuori con pazienza, entriamo uno alla volta, gel per le mani e uso della mascherina.

L’ incoerenza  fa sentire fragili, cresce incertezza per il futuro, crescono  le paure, tante e improvvise che non si sono spente dopo il lockdown, ma anzi ritornano più prepotenti che mai.

Durante l’estate non tutti si sono potuti concedere delle vacanze, ma anche chi è riuscito a farlo non ha recuperato pienamente la stanchezza dell’anno trascorso.

Ma stanchezza di cosa? Siamo stati più di due mesi a casa!

Il sonno notturno e qualche giorno di vacanza non bastano, lo stress è stato tanto e protratto nel tempo;  lo stress genera stanchezza.

E’ suonato l’allarme, un allarme interiore che non si acquieta, amplificato da un allarme esterno di notizie ansiogene  e continue, piene di numeri, casi e situazioni che si sommano e sovrappongono.

La paura protratta e generalizzata provoca stress e stanchezza, e non è facile ed immediato sbarazzarsene.

Ma affettivamente che succede?

Questo virus ci ha lasciato costernati e  confusi.

Ci ha costretti però a guardarci un pochino più dentro e a fare i conti con quello che a oggi abbiamo costruito, non mi riferisco solo a professione e cose materiali ma anche agli affetti e al vivere le relazioni con gli altri.

C’è chi è rimasto completamente solo, isolato in casa, chi invece è stato costretto in convivenze non desiderate.

Questa pandemia ha fortemente limitato, se non del tutto escluso, un’esperienza e una necessità primaria come il desiderio di contatto fisico.

Facciamo un passo indietro.

Dal concepimento viviamo immersi in un campo bio-energetico, l’utero  materno.

Il feto sperimenta, è in contatto e si relaziona con il proprio corpo, con  i propri sensi che stanno maturando, con l’ambiente dell’utero e parallelamente partecipa alla vita emotiva della madre.

Soprattutto nelle ultime settimane, il corpo e la pelle del feto è in contatto con le pareti uterine che lo contengono, lo sfregano e lo massaggiano.

Alla nascita tutto il corpo del bambino partecipa al passaggio nel canale del parto, c’è proprio un forte sfregamento della pelle, una compressione della muscolatura e delle ossa del neonato; una volta nato quel piccolo cerca nuovamente il contatto, il contatto dello sguardo, il contatto della pelle; egli cerca la voce, l’odore, il contenimento.

Come tutti i mammiferi il neonato vuole sentirsi avvolto, contenuto, guardato  e quindi amato attraverso il contatto corporeo.

Oltre a coloro che hanno dedicato la loro ricerca all’unità funzionale psiche-corpo come William Reich e Alexander Lowen, anche altri studiosi nel ‘900 hanno studiato, teorizzato e  scritto sul tema della vicinanza corporea e del contatto.

Ne ricordiamo alcuni come H.F. Harlow, J. Bowlby e D. W. Winnicott.

Harry Frederick Harlow (1905 – 1981), psicologo statunitense, ricercatore sul tema dell’affettività fece ricerche su scimmie Rhesus e si accorse che i piccoli, messi in gabbia e privati della madre, tra un fantoccio metallico con il biberon e un fantoccio peloso senza biberon preferivano il secondo e passavano fino a diciotto ore al giorno attaccati ad esso (come avrebbero fatto con le madri naturali) seppur nutrite dalla madre metallica.  

E poi ancora John Bowlby, (1907- 1990) studioso dell’attaccamento. Egli  ricerca, nei mammiferi e conseguentemente anche nell’uomo,  sul  comportamento di mantenimento della prossimità nei confronti di una persona privilegiata. Giunge, dopo anni di studio, a considerare la qualità delle cure ricevute e le prime relazioni come fondanti dell’essere umano, capaci d’influenzare l’organizzazione della personalità, lo sviluppo e l’adattamento successivo.

Ancora Donal Woods Winnicott (1896-1971) pediatra, psichiatra infantile e psicoanalista.

Realizzò numerose trasmissioni radiofoniche d’informazione sul rapporto bambini e genitori.

Lo ricordiamo per il valore che diede alle cure materne e alle relazioni.

Il bambino ha un potenziale innato, ma senza una madre sufficientemente buona non potrà divenire una persona intera e indipendente.

La madre ha una funzione fondamentale nello sviluppo del bambino:

HOLDING: Funzione di contenimento e di sostegno, passaggio dal NON IO a IO SONO;
HANDLING: Cure ed accudimento, integrazione psicosomatica;

Vicinanza e  contatto corporeo ci ricollegano, come tutti i mammiferi, a quelle prime cure ricevute e conseguentemente ci rassicurano e ci acquietano.

La lontananza può essere accettata per periodi limitati e definiti, altrimenti ci confonde, i pensieri negativi possono prendere il sopravvento.

La lontananza e la mancanza di spontaneità nel contatto corporeo con l’altro  allontana non solo dall’altro ma anche da se  stessi, dal proprio equilibrio interiore.

Le call, che tutti abbiamo usato durante il lockdown,  hanno in parte avvicinato chi era lontano, ma non hanno potuto sostituire il piacere della vicinanza e del contatto corporeo.

Mantenere le relazioni attraverso un monitor diventa complesso;  incertezze, doppi sensi, incomprensioni, possono prendere il sopravvento.

Ho scelto in prima pagina il quadro di Munch:Sera sul viale Karl Johan per descrivere questa sensazione.

Uomini e donne, muti e  distaccati  camminano vicini nella stessa direzione, dall’altra parte del marciapiede c’è solo un uomo che cammina in  direzione opposta di spalle. Hanno tutti dei visi senza vita, senza espressione, come se avessero delle maschere,  sono  come degli zombi.

La sensazione provata è d’isolamento, ognuno è chiuso nel suo mondo.

Il distacco e  la mancanza di contatto fanno  sentire un po’ come quell’uomo, nell’opera di Munch, che cammina in ombra e di spalle in senso opposto.

Ma questo  virus che allontana  dall’altro  e anche   da se  stessi   può anche  ricordare il valore del contatto.

Il contatto  manca, è un fatto, ma proprio dalla sensazione della mancanza può nascere  una nuova forza, che si chiama desiderio, che  porta a ricollegarsi e a contattare più profondamente e con più coscienza  chi si ama.


Articolo a cura della
Dr.ssa Dott.ssa Francesca Zoppi
Psicologa Psicoterapeuta a Roma e Nettuno

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